Il pensiero creativo

Pare oramai consolidato che la creatività possa essere considerata a tutti gli effetti educabile, anzi la nostra società complessa ha bisogno proprio di intelligenze in grado di ripensare continuamente il futuro in chiave di cambiamento.

Ma che cos’è la creatività? La domanda non è di facile risposta e infatti diverse e non concordi sono le prospettive di definizione del suo significato.

Sicuramente essa è una caratteristica positiva del pensiero in quanto, come sostiene Vygotskij, l’attività creativa proietta l’uomo verso il futuro, pensandolo oggetto di una riscrittura in chiave di miglioramento.

Gardner, in Cinque chiavi per il futuro, definisce le due grandi categorie dell’apollineo e del dionisiaco cui sembra apparentabile l’intelligenza umana. La creatività è  terreno dell’incertezza, dello stupore, del disequilibrio, è terreno del dionisiaco; la mente creativa è aperta alla sfida, alla tempesta, al cambiamento. Al contrario del temperamento controllato di colui che, apollineo,  aspira alla sintesi, all’ordine, all’equilibrio, alla chiusura.

Secondo Guilford, studioso statunitense della seconda metà del Novecento, il pensiero creativo, espressione del pensiero divergente, che non può avere oggettive caratteristiche di misurazione, è caratterizzato da fluidità ideativa (la capacità di fornire il maggior numero possibile di risposte per un unico problema), flessibilità (la capacità di riferirsi ad un elevata serie di categorie concettuali per la definizione del problema), originalità (innovatività dell’idea) ed elaborazione (la trasformazione dell’idea  formulata in relazione alla risposta di bisogni reali, concreti).

Piaget contestò, definendolo “un problema americano”,  la creazione di una categoria specifica per quella che lui considerava non una particolare forma di intelligenza, ma soltanto la caratteristica peculiare di individui particolarmente intelligenti. Secondo Piaget, inoltre, il bambino non è particolarmente creativo, come si è soliti affermare: la produzione di idee, oggetti, connessioni apparentemente innovative  o sorprendenti agli occhi dell’adulto è dovuta  alla  “incoerenza” del bambino, alla sua incapacità di elaborare risposte conformi al contesto sociale di riferimento, alla sua mancanza di adattamento.

Per Jerome Bruner la creatività è «qualsiasi atto che produca una ‘sorpresa produttiva’, cioè una modificazione concreta inaspettata nelle diverse attività in cui l’uomo si trova coinvolto … qualsiasi atto creativo si avvale perciò del procedimento euristico che ha come momento essenziale l’atto della scoperta: un’operazione di riordinamento e di trasformazione di fatti evidenti che permette di procedere al di là di quei fatti verso una nuova intuizione» [1].

Sicuramente la produzione dell’innovazione, dell’originalità è tratto distintivo della  creatività. La personalità creativa è in grado di stabilire tra oggetti, pensieri, connessioni nuove, di elaborare nuove idee e renderle fattuali, osserva  Marco Dallari, che da anni si occupa con passione di intessere le trame di un fecondo dialogo produttivo tra arte e pedagogia, « individuando vie e strategie tese a familiarizzare i bambini di oggi con l’arte del loro tempo» [2].

Secondo lo studioso, lo stupore è un atteggiamento che accomuna proprio  il pensare creativo all’oggetto artistico: entrambi infatti vivono nell’aura della sorpresa, generata dall’invenzione, dalla scoperta.

Ma quali sono le strategie per  promuovere i comportamenti creativi?

Sicuramente fare in modo che il bambino non pervenga a risposte stereotipate, e per farlo non considerarlo un contenitore da riempire con nozioni precostituite, ma un attore, ricercatore attivo di significati, costruttore di conoscenza. Significa anche aumentare e predisporre le occasioni di incontro con diversi modi e modelli di affrontare la conoscenza. Infatti, come ormai è noto, il cervello umano tende a riconoscere, addirittura a vedere solo ciò che gli è già noto, e a risolvere i problemi secondo procedimenti  già collaudati.

Il pensiero laterale al contrario si attiva prescindendo da quello che inizialmente appare l’unico percorso possibile, cercando elementi, idee, intuizioni, spunti fuori dal dominio di conoscenza e dalla rigida catena logica lineare e sequenziale. Il pensiero laterale, secondo De Bono, è capace di spezzare questo flusso lineare “conformista” alla ricerca di nuove soluzioni, magari al principio anche apparentemente illogiche, ma selezionate in base a criteri estetici, o in base alla loro capacità di generare altre vie possibili  di esplorazione di soluzioni.

Se la creatività è una caratteristica strutturale dell’intelligenza, o  coincide con l’intelligenza stessa, e se essa è un modo di utilizzare il sapere, ristrutturando i dati a disposizione in modo innovativo per risolvere un qualsiasi problema,  si comprende come sia importante promuoverne lo sviluppo nei bambini, stimolando la loro capacità di ricerca, investigazione, scoperta, selezione dei dati, riorganizzazione della conoscenza (Dallari).

E questo è importante farlo anche attraverso la proposizione di strumenti e luoghi, adatti  a stimolare la fantasia, l’invenzione, il superamento dei modelli già consolidati, ambienti e materiali adeguati alla esplorazione e alla ricerca, che sappiano far si che ciascun individuo possa attingere alla ricchezza  di risorse che ha dentro di se.

Il laboratorio artistico in questo senso si presenta come un luogo privilegiato: prima di tutto perché avvicina i bambini al mondo dell’arte, e al suo orizzonte metaforico, pregno di simboli, di idee, di rielaborazioni del reale [3].

L’obiettivo di Dallari per un progetto educativo all’arte, che sento di poter condividere a pieno, è di «immettere nei processi intellettuali, immaginativi e creativi dei bambini e dei ragazzi idee, paradigmi, metafore e simboli desunti dall’esperienza artistica o elaborati a partire da essa» [4]. Il bambino può riattraversare in modo attivo l’opera, rielaborandola, ridefinendo, dopo averli attraversati, i suoi orizzonti di senso.

Il laboratorio  è luogo di proposizione di strumenti, tecniche e materiali, che se offerti in modo corretto, sono  un potente stimolo per i bambini. Qui la lezione di Munari, ma anche quella messa in pratica nelle scuole di Reggio Emilia, a partire dalla lezione fondamentale di Malaguzzi, è importante: il setting in cui far vivere le esperienze educative dei bambini è fondamentale. L’ambiente di insegnamento  per Malaguzzi è sempre stato considerato “il terzo insegnante” e le esperienze più significative in Italia e all’estero rendono evidente che l’avanzamento cognitivo e l’espressione creativa più autentica si verificano spontaneamente proprio quando al bambino viene concesso un adeguato spazio esplorativo ed espressivo, uno spazio non compromesso dalle “pressioni” educative proprie del contesto scolastico tradizionale, uno spazio attento  al processo  di rielaborazione e di scambio produttivo delle conoscenze e non al risultato, uno spazio che tende ad interrelare i saperi, non a separarli.

Allo stesso tempo, se il processo creativo si nutre di relazioni tra saperi, conoscenze e metodi e strumenti per usarle, è evidente che un individuo di cultura limitata non potrà essere creativo. “Se vogliamo che il bambino diventi una persona creativa, dotata di fantasia sviluppata e non soffocata dobbiamo fare in modo che memorizzi più dati possibili, nei limiti delle sue possibilità, per permettergli di fare più relazioni possibili, per permettergli di risolvere i propri problemi ogni volta che se ne presentano”[5].

La conoscenza strumentale e tecnica è fondamentale. […] Questa conoscenza non distrugge la personalità. E’ assolutamente sbagliato credere che l’ignoranza dia il massimo di libertà. Anzi, la conoscenza dà all’individuo una completa padronanza del mezzo, per cui si esprimerà con chiarezza e coerenza tra il mezzo e il messaggio”[6].

D’altronde i più grandi artisti di tutti i tempi sono proprio coloro che, già possedendo e utilizzando al meglio tutte le tecniche,  gli strumenti, le regole formali dei loro predecessori,  hanno sentito il bisogno di metterle in discussione, alla ricerca del proprio personale modo di raccontare ed interpretare la realtà, e per farlo, violando norme e convenzioni ereditati, hanno innovato profondamente quello stesso patrimonio, regalandosi un posto nella storia.

[1] J. S. Bruner (1964), Il conoscere: saggi per la mano sinistra, Roma, Armando, 1968, p. 142.

[2, 3]  M. Dallari, C. Francucci, L’esperienza pedagogica dell’arte, Firenze, La Nuova Italia, 1998, pag. 160.

[4] M. Dallari, C. Francucci, L’esperienza pedagogica dell’arte, cit., pag. 53.

[5]  B. Munari, Fantasia, invenzione, creatività e immaginazione nelle comunicazioni visive, Roma-Bari, Laterza, 1977, p. 30.

[6] B. Munari, Fantasia, invenzione, creatività e immaginazione nelle comunicazioni visive, cit. p. 143.

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